Filosofia

Il linguaggio del nostro tempo è composto essenzialmente di immagini sonore in movimento: il vecchio libro del mondo è diventato uno schermo sul quale appaiono, come tracce indelebili di memorie-specchio, le ombre della nostra esperienza.

Conosciamo il mondo principalmente attraverso telegiornali e televisione, dove una voce fuori campo – il vecchio deus ex machina del teatro – spiega il senso di immagini scomposte che scorrono in primo piano sullo sfondo di un visore elettronico. L’agenda delle nostre opinioni è dettata da anchorman pallidi che leggono veline d’agenzia, ripetendo come un megafono vuoto l’opinione prevalente nel senso comune, o l’interpretazione dei fatti che meglio sposa gli interessi di una classe dirigente, poco incline a lasciare dubbi sul reale svolgimento delle cose.

I nostri salotti sono riempiti da voci strillanti di massmedia, medi come le opinioni, le consuetudini, gli spiragli di mondo che propongono, dove non esiste spazio per il dubbio, dove l’interpretazione dello spettatore non è richiesta, anzi esclusa. Come un teatro che abbia alzato perentoriamente la quarta parete, e presenti uno spettacolo chino su sé stesso, a proprio uso e consumo; una vetrina sbarrata dove è possibile solo schiacciare la punta del naso sul vetro, agognando una via d’entrata o una d’uscita.

Siamo separati: la separazione è ciò che più di ogni altra cosa caratterizza il nostro tempo. Le immagini si sono sostituite all’esperienza diretta, e ne facciamo uso solo per riempire di significato la nostra vita, in assenza della carne e dello spirito che i sensi dovrebbero trovare all’interno di un contatto reale con le superfici del mondo.

Il tentativo che rappresenta document|aria è quello di sostituire ad un linugaggio per immagini vuoto, cassa di risonanza dei poteri (linguaggio pubblicitario, linguaggio di consumo, linguaggio di asservimento) uno spazio in cui l’uso dell’immagine ritrovi il suo significato. Vale a dire: espressione, segno di un incontro, di un passato, di un frammento significante. Testimonianza del mondo che appare e che scompare, e che si impressiona su una pellicola, su un sensore, attraverso l’uso consapevole di un obiettivo che viene rivolto alla vita, e non alla morte del linguaggio della televisione commerciale.

Un tentativo che speriamo possa dare i suoi frutti, buttando interesse e luce sopra l’arte del documentario, che ai nostri giorni si sta rendendo sempre più uno strumento di resistenza per generare consapevolezza attorno ad un tempo, il nostro, che si sta svuotando di senso, di punti di riferimento, di incontri fruttuosi, di speranze.

Lo vogliamo fare cercando spazi differenti nelle strade della città perchè pensiamo che sia proprio del documentario uscire dalla cornice, dal genere, dagli schemi, cercando un incontro fruttuoso con la realtà e con le persone. Non esiste sguardo efficace che non sia il prodotto di uno scambio. E’ per questo che vogliamo s-cambiarci lungo la direzione di una trasformazione invocata non solo come possibile, quanto come necessario e auspicabile.

Crediamo che questo cambiamento sia possibile solo lungo la direzione della restituita consapevolezza ai nostri occhi e ai nostri sguardi migliori.

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